Agresto

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L’agresto, detto anche “Agresta” è un succo di “uva gresta”.  Il termine veniva usato indifferentemente, al femminile e al maschile per indicare, rispettivamente, sia l’uva acerba sia il succo che deriva dalla sua spremitura. Sono inclusi anche succhi prodotti, sempre per spremitura, da altri vegetali sempre acerbi.


In Cucina e in Farmacia...da sempre

L’uso dell’agresto in cucina, come acidificante, trova numerose attestazioni anche nel mondo antico: Artemidoro di Tarso nel suo Glossario di Cucina consiglia di aggiungere dell’agresto, al posto dell’aceto, ad alcuni piatti a base di carne.

I Romani lo chiamavano omphacium e lo spremevano da uve di varie qualità (la aminnea, la psitia e la thasia). Staccavano gli acini dell’uva verso la metà di luglio, li pigiavano e versavano il succo in contenitori di rame che poi veniva coperto con canovacci ed esposti al sole. Di notte i recipienti venivano ritirati, il liquido veniva rimestato per recuperare la parte condensata. 
I Romani lo impiegavano anche, e soprattutto, nella cosmesi e in farmacia.

Nella cucina medievale l’agresto trova ampio utilizzo tra i condimenti, soprattutto in area francese. Nella cucina del nord Europa era un prodotto di importazione.

Le numerose sostituzioni di questo condimento con succhi di acetosa, di mele selvatiche, succo di aceto o di limone diluiti, ci danno la prova di come fosse particolarmente prediletto il gusto per l’agro.

Il passaggio dell’agresto dalla farmacopea alla cucina è avvenuto, presumibilmente, sotto l’influenza della cucina araba; una gran parte dei ricettari che gli arabi classificano tra i piatti agri trae il nome dall’ingrediente principale costituito da frutta acerba, acida o tannica (mela, melagrana, cedro, limone, arancia, uva, ribes, albicocca, sommacco) ma anche da aceto o latte inacidito.


Galeno non lo vedeva di buon occhio

La dietetica galenica (che è alla base di quella araba) non vede di buon occhio il consumo di frutta cruda, soprattutto se acerba. La presenza di questi succhi agri può essere giustificata, presumibilmente, col fatto che assolveva funzione di remedium nel correggere particolari sui libri alimentari.

L’agresto ha natura fredda e secca e quindi, secondo la medicina umorale, è in grado di riassestare le eccedenze di caldo e umido quali si riscontrano negli zuccheri e nei grassi.

Per questi, ed altri motivi, è sempre un ottimo accompagnamento per piatti a base di carne o per il pesce fritto.


Alcune preparazioni

Crescenzi scrive che per fare “uva liquida” si deve: pigiare l’uva acerba, salare il mosto ed esporlo al sole per due o tre giorni. Poi si deve decantare la parte liquida e lo si conserva così. 

Se invece si vuole fare “uva secca” si devono raccogliere uve molto acerbe ed esporre al sole gli acini in recipienti bassi e larghi per portarli a disidratazione fino al punto desiderato. 

L’Anonimo Padovano chiama quest’ultimo “agresto duro al sole”, mentre per fare l’ “agresto duro da fuoco” si deve solidificare mediante bollitura.

Un’altra distinzione va fatta tra “agresto nuovo” e “agresto vecchio”. L’agresto è più deperibile dell’aceto e con l’invecchiamento tende a perdere sia il colore verde sia l’acredine. Per questo il Ménagier de Paris consiglia di usare l’agresto nuovo, fatto a luglio, puro e soltanto da gennaio in avanti e di tagliarlo con l’agresto vecchio se si volesse usarlo prima. Nella preparazione dell’agresto anche la qualità dell’uva ha la sua importanza.

Secondo il Crescenzi i vitigni migliori sarebbero il Trebbiano e l’uva schiava e albana. L’uva deve essere sempre preventivamente privata dei grani.

Immagine: labonausanza.it

Fonte: E. Carnevale Schianca, La cucina medievale. Lessico, storia, preparazioni, Olschki, Firenze 2011

Se vuoi saperne di più:

  • Anonimo Padovano, Ms. R 3550, Collection of the Guild of St. George, Ruskin Gallery, Sheffield

  • Pier De Crescenzi, Petri Crescentiensis de agricultura, Basilea, Enrico Petri, 1548