Dimmi Cosa mangi e ti dirò chi sei

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Non di solo Cibo ..

L’atto del cibarsi nel Medioevo aveva un significato che andava al di là della semplice assunzione di cibo o del semplice alimentarsi: era, senza dubbio, un incorporare elementi vitali e medicamentosi, come troviamo indicato nei vari testi de observatione ciborum, de ordine ciborum, de qualitatis ciborum, ma soprattutto si trattava di incorporare i simboli della propria cultura.

Distinguendo i vari cibi, quelli permessi da quelli proibiti, quelli nobili da quelli plebei, gli uomini si rendevano consapevoli e affermavano il loro status e la loro appartenenza sociale e culturale in una scala di valori che, pur variando nei diversi contesti geografici e culturali, potrebbe andare grosso modo dal pesce di mare, di derivazione cristiana, al diabolico cinghiale, passando per i vari anelli intermedi: aringa affumicata, balena, coniglio, maiale...

Istanze culturali hanno segnato profondamente le origini delle “buone maniere" a tavola e gli stili alimentari. Volendo ricercare un’opposizione esemplificativa e generalissima tra le culture europee, potremmo dire che se il Sud aspira alla misura, all'essere parchi e adora la fauna marina, il Nord germanico è incline all’abbondanza nel cibo e preferisce la carne dei mammiferi.

Agli Albori della Dieta mediterranea...

Mangiare con misura sembra essere l'eredità che il mondo greco-romano (eccezion fatta per il buon vecchio Trimalcione di petroniana memoria!) ha lasciato al Cristianesimo “mediterraneo”. Nella biografia dell’imperatore Alessandro Severo troviamo scritto che “i suoi banchetti non furono mai né sontuosi né troppo modesti ma all'insegna di una squisita finezza” e, inoltre, “si fece sempre servire ogni vivanda in misura ragionevole”. 

Di certo il caso dell’imperatore non rappresenta in modo esaustivo l'intera popolazione dell’epoca ma è innegabile, come scrive Massimo Montanari, che “quella cultura individuava nell'equilibrio il valore più alto e considerava in chiave negativa ogni forma di comportamento non improntato a tale nozione: gli eccessi di consumo alimentare - o, al contrario, le eccessive rinunce - sono raccontati con disprezzo o con sospetto da coloro che ce ne hanno tramandato memoria”. 

La Voce del  Cristianesimo

Il Cristianesimo sembra sposare questa visione alimentare variandola in senso restrittivo. La sua preferenza verso il magro, il digiuno e l'astinenza proviene dal mondo dell'Antico Testamento. In più vede nelle astensioni alimentari un ideale di mortificazione e di autodisciplina che sconfinano nell'ascetismo, che avvicina a Dio. Già Tertulliano riteneva che “il corpo, se emaciato, passerà più facilmente la porta stretta (del Paradiso), se leggero risorgerà più rapidamente e se deperito si conserverà meglio nella tomba”. Da qui al mangiar magro, mangiare pesci in opposizione alla carne, prescrivere digiuni per un terzo dei giorni dell'anno, il passo fu breve.

Il Tesoro che vien dal Mare

Il mite pesce fin dai primordi del Cristianesimo si affermò come cibo adatto ai suoi fedeli. Già il Vangelo è pieno di immagini positive che rinviano agli animali marini e alla loro pesca. Matteo (13,47) descrive il Regno dei Cieli come “una rete gettata in mare, la quale ha raccolto ogni genere di pesci” e prima di lui Abacuc descrive il Signore come un pescatore che “prende tutti col suo amo”e “tira le reti, le raccoglie e per questo motivo si rallegra; egli giubila: sacrifica alla sua rete da pesca e offre incenso al pesce da pescato» (1, 15-6).

Certo vi fu una gerarchia simbolica anche fra gli abitanti del mare: pesci grandi e mammiferi marini non furono mai buoni da mangiare per il clero. Il sangue abbondante dei loro giganteschi corpi rinviava troppo alla caccia e alla selvaggina, entrambe non in odore di santità e soprattutto adatte a nobili e re, non ai comuni mortali. Ma per i pesci comuni la storia è diversa, visto che furono addirittura i simboli stessi di Cristo. Nei Vangeli non troviamo mai questo accostamento, eppure le catacombe sono piene di pesci, emblemi del Salvatore, incisi sulla pietra insieme all'acrostico ichthus, “pesce”, in greco. 

Carlomagno e le sue proverbiali Abbuffate

All'opposto, il mondo germanico sembra affamato di carne. Un tale conflitto di usi e di mentalità lo leggiamo tra le righe della biografia di Carlomagno. Dal punto di vista alimentare la sua posizione integra due diete, due modi di vivere e due culture: quella cristiana, che avrebbe ereditato i tratti greco-romani improntati alla misura, cioè accostarsi al cibo con il giusto piacere, ma senza voracità, offrirlo con generosità ma senza ostentazione, e quella “germanica” dove la stessa nozione di forza sembra identificarsi con quella di voracità: “La tradizione culturale celtica e germanica - scrive Montanari - propone il “grande mangiatore” come personaggio positivo proprio attraverso quel tipo di comportamento - mangiando e bevendo molto - esprime una superiorità prettamente animalesca sui propri simili”. 

Carlomagno tenta di appartenere a entrambe, stando a quanto ci riporta il suo biografo Eginardo: “Era moderato nel mangiare e nel bere”, scrive, salvo poi precisare: “Ma più moderato nel bere (...) mentre nel mangiare non riusciva a fare altrettanto, e spesso si lamentava che i digiuni erano nocivi al suo fisico”.

Ma la sua moderazione la possiamo osservare meglio nella cena quotidiana che era “solo” (tantum, l'avverbio attenuante è di Eginardo) di quattro portate. Ovviamente, più di ogni altro cibo, Carlo preferiva gli arrosti infilzati allo spiedo. Ovviamente l'imperatore prese la gotta, tipica malattia dei carnivori, e trascorse la sua vecchiaia a combatterne i dolori tra le esortazioni dei medici che lo invitavano “a smettere di mangiare gli arrosti, cui era avvezzo, e ad abituarsi alle carni lessate”.

Curiosità - Chi mangia paga

La Chiesa ha spesso avuto un atteggiamento ambivalente nei confronti dell'alimentazione animale e, più in generale, verso le astensioni alimentari. Fino al V secolo il digiuno a giorni fissi fu totale, mentre in seguito venne limitato ai cibi di origine animale, fino a consentire poi la sostituzione del consumo di carne con quello di pesce.

I giorni dedicati al digiuno divennero via via più numerosi, fino a coprire un terzo dell'anno, anche se alcune categorie ne erano esonerate: bambini, malati, anziani... Con la diffusione delle indulgenze, poi, coloro che erano benestanti potevano acquistare dispense che permettessero loro di consumare cibi proibiti durante i periodi di digiuno: a volte godevano di questi privilegi anche i rappresentanti del clero. 

Nei monasteri si seguivano più o meno le stesse regole, anche se i “digiunatori” ascetici non sempre venivano visti con benevolenza perché un confratello o una consorella deboli non potevano svolgere le necessarie mansioni richieste e perché qualche volta i digiuni troppo rigorosi potevano essere istigati dal demonio, quando non si rivelavano vere e proprie "truffe" architettate per attirare l'attenzione. 

Nel 1577 il medico Johan Wier, nel suo De commentiis Jejuniis, sui “presunti” digiuni, racconta il caso di Elisabeth Barton, del Kent, che era diventata famosa per vivere solo di ostie discese per lei direttamente dal cielo. Ma, rinchiusa in una cella, dopo tre giorni non ce la fece più dalla fame e si scoprì che alcune sue complici la rifornivano di ostie nascoste tra le chiome!

Fonte: da C. Corvino in Medioevo, un passato da riscoprire.

Per approfondire

  • R. Bell, La Santa anoressica. Digiuno e misticismo dal Medioevo ad oggi, Laterza, Roma-Bari 1987;

  • M. Montanari, La fame e l’abbondanza. Storia dell’alimentazione in Europa, Laterza, Roma-Bari 1997