La Canna di Miele

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La Canna di Miele

Cannamellis cioè “canna di miele” era il nome con cui veniva definita la canna da zucchero nei documenti medievali. Ne parlava alla fine del XII secolo il cronista Ugo Falcando che, descrivendo la produzione dello zucchero a Palermo, diceva: “Vi si raccoglie una meravigliosa specie di canna che gli abitanti del luogo chiamano cannamellis, derivandone il nome dalla dolcezza del succo che contiene. Questo succo, cotto in modo attento e moderato, si trasforma in una sorta di miele; se invece la cottura viene portata a termine, condensa in zucchero”.

Duro Lavoro per un dolce Risultato

Il raccolto della canna da zucchero veniva effettuato nel mese di novembre, convogliando immediatamente il prodotto verso il frantoio: questa infatti, una volta tagliata, non resisteva più di 24 ore, fatto che rendeva necessaria anche in questo caso una complessa organizzazione per evitare che il raccolto si deteriorasse.

Giunta al torchio (mosso dall’energia idraulica o dalla trazione animale) la canna da zucchero veniva immediatamente sottoposta a svariate operazioni, alcune delle quali svolte da operai non specializzati (come l’eliminazione della paglia) altre, più complesse e delicate (come l’eliminazione delle parti non contenenti zucchero), svolte invece da operai specializzati, aiutati da manodopera infantile. Altri operai ancora erano deputati al lavaggio delle porzioni di canna prima di inviarle alla triturazione. 

Il liquido ottenuto dalla macinazione veniva raccolto in contenitori posti al di sotto delle mole ma rimaneva comunque una grande quantità di materiale da sottoporre a una seconda lavorazione.

Si passava quindi alla depurazione del liquido, alla sua cottura in grandi caldaie, al filtraggio, e a una seconda cottura. Lo sciroppo così ottenuto si versava in recipienti di terracotta a bocca larga e a fondo stretto, forati per lasciarlo sgocciolare.

Una volta seccato, il miele di canna era nuovamente sottoposto a numerose cotture con l’aggiunta di crema di latte o di bianco d’uovo e di acqua, per tornare poi nelle forme di ceramica dove cristallizzava. Il maestro preposto a queste operazioni poteva poi effettuare, su parte del prodotto, altre cotture, a seconda della qualità desiderata.

Un tale procedimento richiedeva quantità enormi di combustibile e un gran numero di operai, spesso carcerati o ragazzi che costituivano una valida riserva di manodopera. Per assicurare la continuità del lavoro, ottimizzare la produzione e risparmiare combustibile, gli imprenditori introdussero ben presto un ciclo di lavorazione continua, che prevedeva di tenere in funzione le fornaci anche di notte e nei giorni festivi. Questo faceva sì che dove lavoravano salariati di religione diversa venissero predisposti appositi turni, così da consentire a ciascuno di osservare la festività della propria fede religiosa.

La Qualità si paga a caro Prezzo

Tre erano le tipologie di zucchero prodotte nel Medioevo: di qualità elevata, media e bassa, a seconda del grado di raffinatura e del luogo di origine.

Il migliore proveniva dalla Persia, dal Marocco, dalla Siria, dall'Egitto e dal mondo arabo in genere, che si distingueva per l’antica tradizione di coltivazione e lavorazione. Eccellente quello chiamato tabarzad, sottoposto a tre fasi di cottura, di cui una nella crema di latte per aumentarne il candore, e molto apprezzato dai medici e speziali. Un’altra tecnica per migliorarne la qualità consisteva nell'aggiungere durante la cottura dell’olio di mandorle.

Lo zucchero di qualità media (semiraffinato) veniva cotto una sola volta anziché due o tre, ed era prodotto nei centri del Mediterraneo occidentale, soprattutto in Sicilia e a Valenza, ma anche in Siria, in Egitto, nel regno di Granada e a Cipro.

Di colore nero o bruno, il terzo tipo di prodotto, grossolanamente raffinato, veniva acquistato in genere dagli speziali che terminavano il processo di lavorazione nelle loro botteghe e lo vendevano al dettaglio. Erano di questo tipo lo zucchero di Alessandria e la varietà prodotta a Granada.

C’erano poi i residui di zucchero commercializzati per essere sottoposti nuovamente al processo di lavorazione in prossimità dei centri dove sarebbe avvenuto il consumo.

Un dolce Prodotto dai tanti Impieghi

Durante il trasporto da luoghi lontani il pericolo che lo zucchero si rovinasse sulle navi era tale che molte compagnie rifiutavano di stipulare un contratto di assicurazione per questa merce, fatto che rendeva molto più rischioso e poco remunerativo esportare il prodotto di qualità più elevata.

L’utilizzazione dello zucchero al posto del miele ha le sue origini soprattutto nei paesi arabi. Almeno a partire dal IX secolo nei trattati di farmacopea esso costituiva l’ingrediente principale di sciroppi, nonché un eccipiente ritenuto indispensabile nella maggior parte del medicamenti in quanto utile a facilitare l’assorbimento dei principi attivi. 

Fondamentale inoltre il suo ruolo come agente di conservazione. Serviva poi a migliorare il gusto delle medicine, camuffando il gusto sgradevole di certe droghe e preparati. Lo si utilizzava anche come disinfettante e come vero e proprio medicamento in una varietà di preparazioni che andavano dagli “antiulcera”, ai rimedi contro tosse e raffreddore, a quelli per i disturbi intestinali e della vescica, alle polveri per la cicatrizzazione delle ferite, fino ai colliri e alle cure per la cataratta e per le abrasioni della cornea.

I succhi e le conserve di frutta costituivano poi un impiego dello zucchero a metà tra le utilizzazioni alimentari e quelle medicamentose. Torroni, bonbons, marzapane e nocciole glassate erano prodotti confezionati e venduti dagli speziali, consumati prevalentemente dalla grande aristocrazia e le corti principesche.

Oltre ai dessert sono innumerevoli le ricette agrodolci in cui lo zucchero veniva utilizzato, sia nel mondo arabo sia in quello occidentale: dalle carni di ogni genere, ai cereali (il riso in particolare).

La pasticceria, soprattutto nel mondo arabo, comprendeva una grande varietà di caramelle, confetti, biscotti glassati e dolci a base di pistacchi e mandorle, farina, burro e zucchero.

Si realizzavano statuette, figurine, castelli commestibili per abbellire le tavole dei califfi: il prodotto della cannamellis diveniva, pertanto, simbolo di gioia, raffinatezza, ricchezza, ostentazione.

Simbolo di Ricchezza e Potere

In Occidente notevoli consumi di zucchero si registravano nel Trecento alla corte papale avignonese e a quelle del re di Francia e d’Inghilterra. In ogni caso, soprattutto in Francia, almeno fino al XIV secolo prevaleva nettamente il gusto per i cibi aspri e lo zucchero non era molto amato come in Spagna o in Italia.

Per i banchetti solenni delle autorità cittadine, già nel XIII secolo e nelle corti italiane del Tre/Quattrocento lo zucchero faceva parte degli elementi decorativi della tavola per il cui ornamento si realizzavano strabilianti architetture e statue di ogni genere e colore.

Questa materia prima travalicava così le sue caratteristiche di alimento per assumere la funzione materiale adatto alla realizzazione di oggetti artistici, funzionali al sostegno simbolico del potere e dell’autorità.

Alle Origini della Dolcezza

La canna da zucchero si coltivava in Estremo Oriente fin dall'antichità ma la tecnica per estrarne il succo era ancora sconosciuta. E’ possibile che i metodi di lavorazione si siano sviluppati per la prima volta in India, in un’epoca che oscilla tra il IV secolo a.C. e il III d.C. Fu solo a partire dal VII secolo che furono approntate nuove tecniche che permisero alla canna da zucchero di diffondersi più rapidamente. 

Fino al XI secolo lo zucchero si produceva esclusivamente in Siria, in Palestina e in Egitto, lungo le rive del Nilo, dove era anche cotto e raffinato per poi essere commercializzato a Il Cairo dove lo si esportava verso destinazioni più varie come Baghdad o i porti del Mediterraneo occidentale.

Dal XII secolo, in seguito alle Crociate, le Repubbliche Marinare della penisola italiana cominciarono a interessarsi più assiduamente della coltivazione della canna da zucchero nei luoghi che avevano occupato, cercando di assicurarsene i proventi. I Veneziani ne avevano incentivato la coltura nella zona circostante Tiro (sulle coste dell’odierno Libano), alla cui presa avevano partecipato attivamente, ottenendo in cambio, dal Patriarca di Gerusalemme, un trattato che concedeva loro un terzo delle città e delle campagne circostanti rendendoli proprietari della più importante piantagione di canna da zucchero della costa siriana.

Secondo un rapporto del 1243 essa si estendeva per un chilometro, occupando una superficie di circa 3 are e mezzo. Le piantagioni erano irrigate da un acquedotto, di cui i Veneziani avevano ottenuto i diritti di sfruttamento per un terzo. Nella stessa zona avevano impiantato anche dei mulini ad acqua per la raffinazione e uno zuccherificio.

Nel 1264, con un trattato concluso con il signore di Tiro, i Genovesi subentrarono a Venezia alla quale erano stati confiscati i possedimenti, e iniziarono immediatamente a sfruttare le medesime piantagioni.

A Cipro, tra la fine del XIV e la fine del XV secolo si scontrarono per il monopolio della produzione dello zucchero il governo veneziano, che sosteneva i Corner, i principali produttori dell’isola, e l’Ordine cavalleresco degli Ospitalieri, che su quest’industria aveva costruito la sua fortuna. Nel 1489, al momento della definitiva annessione di Cipro alla Serenissima, la produzione di zucchero costituiva ormai la principale attività dell’isola e dava profitti molto elevati.

Anche a Creta l’intervento delle autorità veneziane risultò determinante nell’introdurre la coltivazione della canna da zucchero all'inizio del Trecento, e nel tentativo di stimolarla nei momenti di crisi.

A partire dal XV secolo il Mediterraneo occidentale, grazie ai mercanti genovesi, toscani e tedeschi, divenne il nuovo centro di produzione e di distribuzione dello zucchero, in primo luogo in Sicilia dove l’attività si era già sviluppata fin dal X secolo. Sebbene le tecniche di coltivazione e di produzione fossero conosciute e praticate fin dall'età normanna e sveva, le continue guerre e la distruzione degli acquedotti con il conseguente abbandono delle campagne, ne avevano limitato la produzione.

Uno sviluppo straordinario di questa coltivazione in Sicilia caratterizzò il periodo compreso tra la fine del XIV secolo e il terzo decennio del XV secolo quando i privilegi concessi ai produttori si moltiplicarono grazie agli ingenti profitti che la Camera Regia ne traeva.
 
da M. P. Zanoboni, Medioevo. Un passato da riscoprire

Per approfondire
M. Ouerfelli, Le sucre. Production, commercialisation et usages dans la Méditerranée Médiévale, Brill, Leiden -Boston 2008
 

Francesca MazzantiComment