Grassi in Cucina

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Paese che vai, Usanza che trovi

Nel X secolo il vescovo di Cremona Liutprando, in visita alla corte bizantina in qualità di ambasciatore di Ottone I di Sassonia, uscì stomacato da una cena ufficiale. Nelle sue Memorie ci informa di essere rimasto particolarmente impressionato dall’uso eccessivo di olio e di garum, l'antico condimento a base di pesce. L'orrore manifestato dal vescovo nei confronti del cibo dei suoi ospiti esprime in modo evidente la frattura intervenuta, anche a livello culturale, tra Oriente e Occidente, due mondi che si spartivano l'eredità imperiale romana. Il confine dunque passava anche attraverso la cucina.

Barbare Pietanze per un barbaro Invasore

Che la cucina medievale sia tutt’altro che povera e semplice è ormai un dato acquisito; forse è meno noto il fatto che essa abbia subito notevoli cambiamenti in base alle varie aree geografiche, per tradizioni e usi. Delle operazioni che si susseguono nella preparazione dei cibi, quella che maggiormente evidenzia la diversità di consuetudini è senz’altro la preparazione dei fondi di cottura. Nel caso di Liutprando il disappunto per il cibo che gli fu presentato derivava proprio dal fatto che per cucinarlo erano stati impiegati fondi di cottura per lui sconosciuti o anomali per composizione e trattamento.

Egli proveniva da un'area geografica dove da tempo la tradizione alimentare romana, basata essenzialmente su cereali, olio e vino, aveva ceduto il passo a un altro tipo di cucina, introdotta dagli invasori, che si fondava sulla carne e sui grassi animali. Da una parte c’era un sistema produttivo che privilegiava l’agricoltura permanente e lo scambio di derrate anche a lunga distanza, dall'altra un'economia in gran parte autarchica indirizzata più allo sfruttamento del bosco e dell'incolto, con la caccia in primo piano. Queste due strutture produttive, diverse e per molti aspetti antitetiche, dovevano necessariamente originare differenze notevoli anche nel campo dell'alimentazione e della gastronomia: quella più evidente è la sostituzione dell'olio d'oliva come fondo di cottura con i grassi derivati in primo luogo dai suini.

Un prezioso Animale: il Maiale

Da questo animale si ottenevano, oltre alla carne fresca e agli insaccati, il lardo e lo strutto. Nei grandi monasteri benedettini altomedievali esisteva il lardarium, locale destinato alla preparazione e alla conservazione del lardo e in genere dei grassi animali. I giorni in cui si macellava il maiale, all'inizio dell'inverno, erano noti come il tempus de laride, a testimonianza dell'importanza attribuita, fra tutti i prodotti che si ottenevano dall'animale, a questo tipo di grasso. II lardo veniva cotto e poi lasciato a riposare fino a Pasqua, prima di iniziarne il consumo. Esso veniva impiegato, oltre che nei sughi, anche come pietanza a sé stante.

… a Suon di Lardo

Abbiamo numerose testimonianze di questo uso: nel VII secolo una parte del salario corrisposto agli artigiani dell'edilizia (magistri comacini) è costituita da dieci libbre di lardo a testa da mangiarsi spalmato sul pane. La stessa pratica è attestata in diversi testamenti nei quali si stabilisce la distribuzione ai poveri di gallette con sopra fette di lardo. Un uso alimentare che si è conservato inalterato in certe regioni marginali francesi fino agli inizi di questo secolo.

Un altro uso, documentato in Provenza ancora in età tardomedievale, era quello di immergere grosse fette di lardo nelle minestre di piselli, fave o cavoli. In Bretagna il lardo salato, chiamato "pane di grasso", serviva a fare una zuppa e un apprezzato pâté d'orzo. L'insalata condita con il lardo o lo strutto fuso era poi un piatto che accomunava le mense continentali europee, dal Mar Baltico alla Val Padana.

Ma l'impiego principale di questo grasso era senz'altro come fondo di cottura delle carni, in particolare degli arrosti, che venivano con esso steccati. Per compiere questa operazione esisteva un particolare utensile, chiamato "lardatoio", costítuito da un ferro cavo appuntito a un'estremità e dotato dall'altra di piccoli denti arcuati disposti a pettine: esso veniva strusciato sul lardo in modo da grattarne via delle scaglie, quindi infilato nella carne dalla parte acuminata così da spingerle bene in profondità.

...e di Strutto

Lo strutto (uncto), anch'esso di largo impiego, serviva però solo nei sughi, mai come pietanza a sé stante. Grasso da impiegare in cucina si otteneva oltre che dal maiale, anche da altri animali: il Capitulare de Villis di Carlo Magno stabiliva, ad esempio, che la sugna (soccia) doveva essere ricavata anche dalle pecore. Le bestie grosse, come i bovi, servivano invece principalmente come forza lavoro e quindi il loro contributo da questo punto di vista era marginale (35 - Vogliamo che si utilizzi la sugna delle pecore grasse e dei maiali, inoltre in ciascuna villa vi siano dei buoi ben ingrassati o per fame sugna sul posto o perché siano consegnati a noi).

Il Latte agro

Il burro ebbe una diffusione tardiva: già Plinio aveva osservato come presso i barbari il suo uso distinguesse “i ricchi dalla massa” e si può dire che questo tratto gli sia rimasto a lungo, fino almeno al tardo Medioevo. Nella valle della Loira, ad esempio, in pieno Quattrocento certi canoni feudali prevedevano da parte dei coloni il pagamento al signore di “una focaccia ben imburrata”, segno che veniva considerato genere di lusso, usato forse come dessert. In generale chi poteva permettersi il burro lo impiegava, oltre che crudo, come condimento fuso di pietanze già preparate, ma non come fondo di cottura. Nei giorni di magro e in Quaresima la Chiesa lo raccomandava come sostituto del lardo, ma non è certo che fosse impiegato, a causa del suo alto costo. Al posto del burro abbiamo invece notizia dell'utilizzo di “conserve di latte agro”: numerose ricette provenienti dalla Bretagna ci descrivono pappe d’avena o di altri cereali cotte nel latte agro, come pure crêpes di frumento arrostite nello stesso latte.

Dimmi come condisci e ti dirò chi sei

L'analisi dei fondi di cottura costituisce la base, dunque, per l’osservazione delle differenze di tradizioni alimentari: per le Francia, dove questo tipo di studi ha una solida tradizione dovuta in gran parte all’opera della rivista degli Annales, è stato possibile tracciare una mappa dell'uso alternativo dei grassi animali e vegetali con la sua evoluzione dal tardo Medioevo fino ai nostri giorni.

Per l’Italia possiamo individuare due aree abbastanza definite, una continentale dove regna il lardo e in genere il grasso animale, e una mediterranea dove invece prevale l'olio d'oliva. Il confine passava attraverso l’Appennino, con la Liguria e la la Toscana a sud e l'Emilia e il Piemonte a nord.

Numerosi indizi suggeriscono però di sfumare i contorni di una contrapposizione troppo schematica. L'olivo infatti era coltivato anche nel Nord Italia, dalle colline romagnole fin nella zona dei laghi prealpini lombardi, come mostrano contratti agrari e rubriche statutarie che regolamentano la raccolta delle olive. Di contro, è noto che in Toscana l'allevamento suino era molto praticato, che a Roma alla fine del Duecento sulla mensa dei poveri il lardo svolgeva un ruolo di primo piano, e che perfino la Sicilia era zona di forte consumo di grassi animali. Tuttavia è un fatto che, quando dalle nebbie della documentazione cominciano a emergere i primi trattati di cucina e le ricette, queste due aree appaiono ormai chiaramente delineate.

La Parola ai Ricettari

Così nel toscano Libro della cocina della fine del XIV secolo abbiamo una prevalenza dell'olio di oliva nei condimenti, mentre il lardo serve per lo più per friggere carni o, in aggiunta all'olio, per la preparazione di torte e pasticci. All'opposto nel veneziano Libro per cuoco, della stessa epoca, si usano invariabilmente il lardo o altri grassi animali, mentre rarissimo è l'impiego dell'olio di oliva. Nel Quattrocento, troviamo il celebre trattato di Maestro Martino, che propone una sorta di sintesi delle due tradizioni. Così nei condimenti vengono impiegati alternativamente “bono lardo”, strutto e olio d'oliva, quest'ultimo riservato di preferenza alle fritture. Compare qui per la prima volta la menzione dell'uso del burro (botiro) ora in sostituzione dell'olio e dello strutto, ora mischiato con l'uno e l'altro. Ma, nonostante il tentativo di fusione delle due diverse tradizioni culinarie effettuato da Maestro Martino, esse continueranno a convivere parallele si può dire fino al nostri giorni.

Fonte: A. Barlucchi, in Medioevo, Un passato da riscoprire (n.3, aprile 1997)

Per approfondire

  • E. Faccioli, La cucina, in Storia d'Italia, Einaudi, Torino 1973, tomo V, vol. 1

  • M. Montanari, L'alimentazione contadina nell’Alto Medioevo, Liguori, Napoli 1979.

  • M. Montanari, Alimentazione e cultura nel Medioevo, Laterza, Roma-Bari 1988