Sull'Olio di Oliva

Sull olio di oliva.jpg

Dall’Ulivo ogni Bene

La pianta dell’olivo, tipica del bacino Mediterraneo, è l'unica ad avere, in quest’area, un’importanza maggiore anche di quella della vite. I confini della sua zona di coltura coincidono con quelli dell'area climatica influenzata dal Mar Mediterraneo, dal momento che l'olivo è molto sensibile alle forti oscillazioni termiche.

L'associazione ulivo - Mediterraneo ha origini antiche e la ritroviamo nelle tradizioni letterarie dei popoli che per primi ne abitarono le sponde: è proprio un ramoscello di questa pianta che la colomba porta a Noè per dargli un segnale della fine del diluvio, ed è sul tronco di un esemplare secolare che Odisseo costruisce il suo letto nuziale.

In passato, e soprattutto nel periodo altomedievale, la sua coltura si estese anche a zone continentali generalmente non molto favorevoli come la pianura Padana. Questo fu dovuto alle necessità dell'economia autarchica che si impose dopo la caduta dell'Impero Romano, per cui non fu più possibile rifornirsi di certe derrate e di conseguenza bisognava organizzarsi per coltivarle anche nei luoghi in cui sarebbe stato sconsigliato.

Indispensabile in Chiesa ...

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, a quest'epoca, si ha bisogno di olio non tanto per uso alimentare, quanto essenzialmente a fini liturgici: esso è infatti un elemento fondamentale in quasi tutti i sacramenti della Chiesa. Questo fa sì che ogni comunità, anche la più piccola, come pure ogni chiesa o monastero, pratichi la coltura dell'olivo anche in zone dove essa sarebbe risultata assolutamente antieconomica o soggetta al continuo rischio di gelate.

Nell’Alto Medioevo assistiamo al proliferare di testamenti nei quali vengono lasciate a chiese e monasteri alcune piante espressamente pro luminaria, cioè per tenere acceso un lume davanti a un altare o di fronte a una particolare immagine, in memoria eterna di un defunto di alto ceto sociale.

L’olio di oliva è dunque, nell'ltalia settentrionale di questo periodo storico, un bene di lusso, tipicamente “signorile” per l'uso che ne viene fatto. Diversa ovviamente risulta essere la situazione nel resto della penisola, dove la coltura dell'olivo risale all'età antica senza soluzione di continuità; questo significa che molte delle piante di cui si tratta nei documenti hanno messo le loro radici in epoca romana, se non prima.

Le zone di maggiore produzione erano la Campania e la Puglia, che a partire dal secolo XI iniziarono a esportare il loro prodotto in tutto il Mediterraneo, Costantinopoli compresa.

… e nel Lanificio

Il settore non alimentare che impiegava l'olio in modo massiccio troviamo senza dubbio l’industria della lana, che lo utilizzava sia nella preparazione dei saponi, sia nelle numerose e complesse operazioni che precedevano la tessitura.

Dopo essere stata “scamattata”, cioè battuta in modo da aprirsi per bene in tutte le sue fibre, la lana distesa su graticci veniva inzuppata di acqua e poi cosparsa di olio, quindi avvoltolata in grandi matasse unte che venivano prese in consegna dai “pettinatori"; l'olio conferiva alla lana la necessaria compattezza per sopportare la successiva lavorazione della “pettinatura”.

Terminata questa fase, la lana veniva bagnata di olio; gli operai la lavoravano con le mani “come fusse una massa di pasta” in modo da farle incorporare bene l'olio, poi la piegavano e la riponevano in grossi bigonci che venivano passati agli “scardassieri” che la “pigliavano a menate”.

Balsami curativi

Quello impiegato in unguenti e medicamenti era senza dubbio un olio di seconda scelta, poco adatto all'alimentazione, o magari rimasto invenduto dopo dopo un anno dalla produzione e, quindi, destinato a un rapido deterioramento. I mercanti ne facevano incetta nei porti di tutto il Mediterraneo. Di certo ne servivano delle grandi quantità: l’Arte della Lana di Firenze nel 1347, l'anno precedente alla Peste Nera, importò olio per la somma esorbitante di quasi 16.000 fiorini d'oro.

La Corporazione nominava anno per anno degli officiales olei con il compito specifico di non far mancare mai alle industrie questa particolare materia prima. Un grosso pozzo realizzato nel palazzo stesso della sede dell'Arte era adibito ad immagazzinare l'olio raccolto; da questo serbatoio centrale si diramava una serie di canalizzazioni che provvedevano a smistarlo alle varie officine situate sulla riva dell’Arno.

Altri settori produttivi che consumavano olio in quantità erano la farmacia e la cosmesi. In effetti prima che diventasse elemento fondamentale della cucina mediterranea erano stati questi i campi di applicazione originari dell'olio: già nei Salmi della Bibbia è testimoniato questo uso, insieme cosmetico e liturgico, ed è con un unguento a base di olio che il Buon Samaritano cura lo sfortunato viandante vittima dei predoni.

Immancabile nei Farmaci...

Nella farmacopea medievale esso viene impiegato come eccipiente e come medicinale, dal momento che era considerato il rimedio principe per alcune ferite e in certe malattie e, mescolato al vino, serviva a medicare le piaghe. Con aromi e balsami si producevano oli profumati, secondo tradizioni che risalgono anche all'antichità classica.

Ma la scienza medica quattrocentesca ci fornisce anche esempi ameni riguardo al suo impiego, con ricette che molto seriamente prescrivono la frittura dello sterco di colombo in olio di oliva.

Ottimo Alleato di Bellezza

Quanto alla cosmesi, l'olio era usato per lo più come ingrediente per lozioni per i capelli, ad esempio di quella per allungarli (polvere di radice di lattuga incorporata in olio di oliva) o per arrestarne la caduta (polvere di canna amalgamata con miele e olio), oppure ancora di quella per non farli spezzare (radice di rose e di calcedonia, cumino e zafferano bolliti nell'olio).

Altro settore era quello delle creme per le mani: per le screpolature ad esempio si dovevano mescolare insieme cera nuova, incenso maschio e olio buono, farli bollire “quanto diresti tre o quattro Credo”, sempre rimestando fino a ottenere un unguento.

Un laborioso Procedimento per ottenerlo

Lo strumento per la produzione dell'olio, il frantoio, è una delle attrezzature industriali che meno ha subito modifiche nel corso del tempo, al punto che possiamo ritenere quello di epoca medievale non molto dissimile dagli ultimi impiegati prima della rivoluzione industriale.

In Toscana esso era generalmente situato al piano terreno di una abitazione, mentre il frantoio pugliese non di rado si trovava in aperta campagna, vicino agli uliveti, oppure era collocato all'interno di grotte naturali o scavate nel tufo.

La macinatura delle olive veniva effettuata da una macina posta verticalmente e attraversata da un palo cui era aggiogato l'animale che doveva fornire la forza motrice. La pasta che si otteneva veniva stesa su “dischi” fatti di grossi canapi bucati al centro in modo da poter essere infilati uno sopra l'altro nella “pila”, sorta di gabbia di legno a doghe parallele un po’ discoste l’una dall’altra, con al centro un palo.

Una volta riempita la pila di dischi e pasta, aveva luogo la spremitura vera e propria, che si effettuava mediante compressione con un "torchio”. L'olio colava dalle fessure tra doga e doga e veniva raccolto in un recipiente posto alla base. Tra una operazione e l'altra la pila veniva pulita e lavata con acqua; il liquido che così si formava si raccoglieva in una buca sottostante, scavata nel pavimento, dal nome espressivo di “inferno”.

Quest'ultimo prodotto di scarto (la morchia) non veniva gettato via ma, una volta decantato, in modo da far venire a galla l'elemento oleoso, veniva impiegato per l’illuminazione. In Puglia tanto grande era la produzione di olio che la raccolta, rielaborazione e commercializzazione di questo residuo davano luogo a una particolare figura professionale, quella del morcharius.

La pasta di olive ormai completamente spremuta (la sansa) serviva invece come fertilizzante in agricoltura.

Fonte: A. Barlucchi, in Medioevo, un passato da riscoprire, n. 3 aprile 1997

Per approfondire:

  • G. Cherubini, Olio, olivo, olivicoltori, in L’Italia rurale del Basso Medioevo, Laterza, Roma-Bari 1984

  • A.I. Pini, Due colture specialistiche del Medioevo: la vite e l'olivo nell’Italia padana, in Medioevo rurale. Sulle tracce della civiltà contadina, Il Mulino, Bologna 1980