Ceci

Pepite d'Oro

Il cece è sempre stato una pianta particolarmente delicata, non facile da coltivare e nociva, addirittura, per il terreno, dal quale succhia ogni linfa vitale. Fin dall'antichità, e così pure nel Medioevo, tra i legumi risultava essere uno tra i più costosi. I Romani lo consideravano simbolo di ricchezza e di potere e i Greci lo consumavano quasi esclusivamente come stuzzichino da sgranocchiare, crudo o tostato, a fine pasto.

La tradizione di farne minestre, mescolato ad altri legumi o farinate risale già all'antica Roma; Orazio (Sat. I. 6, 115) parla di una minestra di ceci e porri accompagnata dal laganum sbriciolato. Non mancano riferimenti ai ceci neppure nella monumentale Cena Trimalchionis. Inclusi all'interno del grande piatto con i segni zodiacali fanno mostra di sé i ceci arietini, così chiamati perché sembra di vedere sulla loro superficie la sagoma della testa di ariete.


Tante varietà ricche di gusto

Sulle tavole di epoca medievale si conferma la presenza di numerose specie di questo legume, molto differenti tra loro per gusto, dimensione, colore e forma. Ve ne sono di bianchi, neri, rossi e sanguinei. Questi ultimi sono i migliori di tutti e presentano una buccia particolarmente rugosa.

I ceci venivano consumati, come tutti i legumi, soprattutto secchi. La medicina, sebbene segnali il rischio di flatulenza come effetto collaterale del loro consumo, ne esalta, tuttavia, virtù nutrienti maggiori rispetto a quelle contenute in altri legumi, come ad esempio le fave. In particolare i medici consigliano il brodo di ceci. Gli si riconoscono effetti benefici al petto, fegato, milza, reni e vescica. I ceci schiariscono la voce, fanno sparire i vermi e, non ultimo, stimolano gli appetiti venerei!

Fonte: E. Carnevale Schianca, La cucina medievale. Lessico, storia, preparazioni, Olschki, Firenze 2011